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Ancora sui metalli pesanti

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Ancora sui metalli pesanti

I metalli pesanti – tra questi cadmio, piombo, mercurio, arsenico e nichel – possono penetrare nell’ambiente e nella catena alimentare attraverso processi industriali, fenomeni naturali e attività umane come l’incenerimento dei rifiuti, l’inquinamento automobilistico e alcune pratiche agricole. Le vie principali di esposizione per la popolazione riguardano l’ambiente, come l’inalazione di particelle, e l’ingestione di cibo, compresa l’acqua potabile. Quest’ultima è di gran lunga la più significativa per la popolazione generale.

La loro elevata tossicità a lungo termine è motivo di preoccupazione, poiché questi metalli possono interferire con il normale metabolismo cellulare, compromettendo il corretto svolgimento delle funzioni vitali. L’accumulo di questi metalli nell’organismo umano nel corso del tempo può portare a effetti gravissimi, soprattutto nei confronti di reni e ossa.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) monitorano costantemente questi metalli. L’EFSA, in particolare, valuta i rischi derivanti dall’assunzione alimentare di metalli pesanti, stabilendo appropriati Valori Guida per la Protezione della Salute, quali dose giornaliera tollerabile e valore di riferimento basato su una dose associata a un rischio minimo per la salute.

Il cadmio, per esempio, presente in alimenti a causa di attività umane come la fusione di metalli e l’uso di concimi fosfatici, è in grado di imitare altri elementi essenziali nel nostro corpo. L’eliminazione del cadmio assorbito richiede tra i 10 ai 30 anni, evidenziando la persistenza nel tempo. La consapevolezza di questi rischi, la prevenzione e il monitoraggio costante sono fondamentali.

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